Retrospettiva Vittorio Erice
Le luci di Erice
Il basco Víctor Erice è un cineasta raro. Sia per il numero di creazioni che ha potuto realizzare nel corso della sua carriera: un lungometraggio ogni 10 anni, o quasi, dal 1973, qualche cortometraggio, installazioni. E anche dalla qualità eccezionale di queste stesse creazioni, “favole intense sui corridoi segreti della memoria e dell'immaginazione” (Mathieu Macheret su Le Monde ). Quale altro cineasta può vantarsi di aver creato solo capolavori? Erice è rara come lo erano Jean Vigo, Jean Eustache o Erich von Stroheim. Un maestro che ha rifiutato le concessioni e ha sempre alzato molto le sue pretese nei confronti del cinema.
La Cineteca svizzera è oggi estremamente orgogliosa di poter distribuire in Svizzera il suo ultimo film, presentato a Cannes l'anno scorso. Il titolo, Cerrar los ojos (ovvero “Chiudi gli occhi”) è come l'annuncio disilluso della sua profonda riflessione sul cinema. Raccontando la ricerca di un cineasta legata a un progetto cinematografico incompiuto, con evidenti risonanze autobiografiche, Erice offre una riflessione magistrale sul ruolo e il potere del cinema oggi.
Qui non fa altro che estendere la riflessione portata avanti ad esempio nel suo lavoro precedente, il più radicale di tutti: filma quotidianamente l'opera del pittore Antonio Lopez che sceglie di dipingere l'albero di mele cotogne del suo giardino e i frutti che lo adornano fino' alla loro decomposizione. Il titolo francese del film ( Le Songe de la Lumière ) è fuorviante. Il titolo originale El sol del membrillo (ovvero “il sole del cotogno”) porta con sé l'idea che l'opera è il sole, la luce, l'intelligenza, ma anche la sua decrepitezza. È cercando di catturare il processo creativo del pittore che il regista cattura la luce. E diventa a sua volta sole.
Nel 1973 Erice firma il suo primo capolavoro, El espíritu de la colmena ( Lo spirito dell'alveare ), luminosa evocazione del franchismo dal punto di vista di un bambino, che vince un premio a San Sebastian. El Sur ( Il Sud ), dieci anni dopo, gli lascia il sapore di un lavoro in sospeso: mentre questo ritratto di famiglia negli anni Cinquanta in pieno regime franchista avrà una seconda parte da girare in Andalusia (il sud della il paese, appunto), il produttore presenta il film troncato a Cannes, dove viene selezionato. Quest'altro, mutilato capolavoro, spinge Erice a restare ai margini, allo stesso tempo critico, insegnando, realizzando installazioni, girando cortometraggi e medi, come una magnifica corrispondenza filmata con Abbas Kiarostami.
Del suo ritorno al lungometraggio con Cerrar los ojos, Erice spiega in un'intervista a Le Monde : “Ho sempre avuto la tentazione di scrivere un seguito, come un prolungamento del Sud abortito. Ma allo stesso tempo sentivo il passare del tempo, il fatto che i miei personaggi invecchiavano e sparivano uno dopo l'altro. Chiudere gli occhi era un modo per tornare al Sud, come si torna sul luogo del delitto.
Ma soprattutto questo viaggio intimo nella creazione è, come dice il regista, “una riflessione sentimentale sull'era del cinema”. Un film fondamentale, di grande modernità, da scoprire con urgenza, grazie a questo giovane cineasta di 84 anni.